Parker dormicchiava sul divano, sbronzo di birra, come quasi tutti i pomeriggi. Ultimamente strisciava fuori di casa solo per andare al vicino minimarket a comprare qualcosa da bere e da mangiare. Fu svegliato da qualcuno che bussava con insistenza. Era sicuramente il padrone di casa che voleva l’affitto, lo capiva dal modo in cui bussava. Senza riguardi, quel ciccione pelato. Sapeva che era in casa e non si sarebbe schiodato da lì, finché la porta non fosse caduta.
-Merda, non c’è bisogno di bussare così, arrivo…
Andò verso la porta barcollando e bestemmiando, era ancora stordito da un brutto sogno.
Non era il padrone di casa, era una vecchia baldracca che abitava sopra di lui, gli sembrava che si chiamasse Rose o giù di lì.
Era in vestaglia, senza reggiseno, una sfatta quarantenne dalle labbra sottili e un viso precocemente invecchiato dall’alcol e dal fumo.
-Hei vicino, hai una sigaretta?
Parker era in canottiera e boxer. Lei lo fissò, masticava una gomma, aveva denti gialli.
La fece entrare. Lei si accomodò sul divano sfondato.
Parker andò in camera e frugò tra le sue cose sul comodino, trovò un paio di sigarette. Ne porse una a Rose e se ne accese una per sé.
-Ma stai sempre rinchiuso in questa topaia?
-Perché tu abiti in una reggia?
Stava in piedi di fronte a lei, non gli andava di sedersi accanto. Lei era tutta scosciata, forse un tempo aveva avuto belle gambe ma ora erano segnate e piene di cellulite. Portava delle mutandine di pizzo trasparenti. Le metteva tristezza, voleva sedurlo esponendogli quella mercanzia di seconda mano?
Fumava male, aspirava in fretta e poi cacciava il fumo in uno sbuffo rapido, senza goderselo.
-Ti va di scopare? Glielo disse a brutto muso, non era una di quelle che ci gira intorno. Questo gli piacque.
-Dipende da quanto vuoi.
-Mi hai preso per una puttana?
Sembrava volesse fare l’offesa ma non lo sembrava davvero.
-Onestamente sì, mi sembri una puttana.
-Beh, può darsi ma non sono in servizio, mi basta una birra e un’altra sigaretta.
-Affare fatto, direi che può andarmi.
-Lo facciamo qui, sul divano?
-Non ci regge, andiamo sul letto.
La portò sul letto a due piazze ancora sfatto e pieno di macchie di caffè e bruciature di sigarette.
Lei fece una smorfia di disgusto cacciando via il lenzuolo e si spogliò rimanendo solo con le mutandine.
Lui la guardò, sdraiata sul suo letto c’era il ricordo di un bel corpo, uno di quei corpi in cui era piacevole inzuppare il biscotto vent’anni fa, all’uscita da un locale, dopo una buona bevuta, in macchina infrattati da qualche parte, solo un ricordo però, il presente era ben magra cosa. Ma tutto sommato gli andava di farsi una scopata, erano settimane che non inzuppava, e poi era quasi gratis, quando gli ricapitava?
Faceva caldo, la luce filtrava a malapena dalle tapparelle abbassate, illuminando la squallida stanza in cui Rose e Parker ci davano dentro.
Non durò molto, dopo un inizio promettente in cui aveva stantuffato Rose aprendola in due e facendola gemere forte, gli venne meno l’erezione. Erano entrambi madidi di sudore, le lingue amarognole si intrecciavano mischiando il sapore di tabacco nelle loro bocche. Lui provò a prenderla da dietro, tutto sommato aveva un culo dignitoso ma il suo amico sembrava del parere opposto. Rinunciò, si sdraiò a fianco a riprendere fiato.
Rose non disse nulla, chiese un’altra sigaretta.
Fumarono e finirono una birra.
-Mi è piaciuto. Mentì lei.
-Anche a me. Ma fa troppo caldo, tesoro.
-Non chiamarmi così.
-Come ti pare.
-Mi chiamava così il mio patrigno, quando voleva che glielo succhiassi, niente di personale.
-Ok piccola, come vuoi.
Rose si alzò per andare in bagno.
-Spicciati che poi devo andare anch’io, si toccò il pene barzotto gonfio di urina. Gli diede uno schiaffo per punirlo e lo rimise nelle mutande.
Rose urlò.
-Che c’è?
-Cazzo cazzo, ma che roba è? Mi sono tagliata con uno schifo.
Si alzò di malavoglia, Rose era vicino alla porta del bagno spalancata, guardava qualcosa sul pavimento vicino al water.
-Che diavolo…
Rose aveva una piccola ferita al piede, perdeva un po’ di sangue, ma l’attenzione di Parker fu attratta da uno strano bubbone striato che sembrava uscire dal pavimento, come una specie di fungo. Questo bubbone però pulsava.
-Come hai fatto a tagliarti?
-Deve essere stato quell’affare lì, mi ha morso, ma che roba è?
-Non lo so, non l’avevo mai visto. Stamattina non c’era, te lo posso assicurare.
-Beh ti conviene farlo sparire, è una roba schifosa.
Si inginocchiò a osservarlo bene, era una cupola viscida con un diametro di dieci centimetri, pulsava a un ritmo costante. Quella cosa era viva, non era stata un’illusione. La superficie era opaca, dentro c’era qualcosa ma non si riusciva a capire bene.
-Forse è un uovo di qualche bestia.
Lo toccò con un dito. Sentì un dolore acuto.
-Cazzo, questo affare brucia.
Il bubbone a contatto con il dito si era gonfiato improvvisamente come se avesse voluto inglobarlo per… Dio sa per quale scopo.
Andò in cucina, o meglio quell’angolo puzzolente dove aveva qualche attrezzo per cucinare, un forno a microonde, piatti e posate di plastica. Prese un coltello e tornò in bagno. Rose guardava quel bubbone, sembrava ipnotizzata.
-E’ davvero strano, chissà da dove è spuntato.
-Non lo so, ma mi farò sentire da quello stronzo del padrone.
-Probabile che ti farà uno sconto.
-Già, me lo deve, questa topaia schifosa.
Toccò il bubbone con il coltello, la cosa si ritirò e rimpicciolì, poi improvvisamente si gonfiò, respingendo il coltello che volò dalle mani di Parker e si conficcò nello stipite della porta con violenza, sfiorando di poco la testa di Rose.
-Cazzo, potevi uccidermi.
-Non sono stato io, è questo affare, mi ha strappato il coltello di mano.
-Me ne vado, ne ho abbastanza.
Quando fu sulla porta disse che se voleva poteva passare più tardi su da lei con una birra.
-Ti va una pizza?
Parker non rispose nemmeno tutto preso dal problema di quello strano bubbone.
Rose si spazientì, uscì sbattendo la porta.
Non sentì nemmeno la porta che si chiudeva, quell’affare lo incuriosiva e lo disgustava al tempo stesso. Per il momento non c’era verso di toglierlo, poteva coprirlo però. Cercò una scatola di cartone e la sistemò su quell’affare, badando di non toccarlo con i lati della scatola.
“E se quella cosa si spostasse?”, il pensiero lo spaventò. Passò il resto del giorno a fissare la scatola. Non si mosse.
Andò a letto dimenticandosi di mangiare, dormì malissimo, avvolto nel sudore, un sonno popolato da incubi schifosi.

I giorni seguenti cercò di ignorare la scatola nel bagno, quando la vedeva. Ma il pensiero tornava sempre lì, a quella scatola immobile, così insignificante e al tempo stesso potente. Aveva la tentazione di guardarci sotto, per vedere se quella cosa era sempre lì o se n’era andata. Magari era stata solo un’allucinazione sua e di Rose.
La donna era venuta un paio di volte per fumare e scopare, gli amplessi erano sempre stati disturbati da qualcosa, il caldo, la luce, l’alito di lei o il pensiero di quello schifo sotto la scatola.
Rose non voleva mettere piede in quel bagno, quella cosa la spaventava.
-Perché non guardi se c’è ancora? disse una sera.
Avevano mangiato una pizza assieme e bevuto parecchio, la mattina Parker aveva ricevuto l’assegno del sussidio di disoccupazione e aveva deciso di fare un po’ di festa, aveva comprato dell’erba.
Così mentre se ne stavano sul letto dopo aver scopato, a fumare, i discorsi erano finiti sulla scatola e quello che nascondeva.
-Potresti farla analizzare da qualcuno, magari è una cosa rara, potresti fare soldi.
-E a chi la faccio vedere?
-Ho un cliente che fa il medico, magari lui ne capisce qualcosa.

La scatola era una presenza tangibile nella casa, difficile ignorarla. Forse era stato un errore coprire il bubbone. Da quando l’aveva coperto non riusciva a non pensarci, d’altronde non capiva che altre soluzioni avesse. Non aveva soldi per la disinfestazione, il padrone gli avrebbe dato la colpa e avrebbe colto l’occasione per cacciarlo fuori a pedate. Da quando c’era quella scatola passava più tempo fuori di casa, ogni tanto saliva da Rose. Negli ultimi tempi lei non voleva più scendere da lui, quella robaccia le metteva paura.
Doveva occuparsene, un giorno o l’altro, non poteva lasciare la casa a quello schifo sotto la scatola.
Provò a sollevarla ma anche il solo contatto indiretto gli faceva ribrezzo, così prese la scopa e la usò come leva. Scoprì che quella cosa non solo era sempre lì sotto, ma si era anche ingrossata. Alla vista di quel bubbone gonfio si era ritratto spaventato. Poi si era dato del coglione, che cosa poteva temere?
Si rese conto di non avere idea di cosa fosse, nemmeno Rose lo sapeva ma cosa poteva pretendere da una baldracca che non aveva nemmeno iniziato il liceo?
Decise di non coprirlo più con la scatola. Solo vedendolo tutti i giorni avrebbe avuto il coraggio di affrontarlo, non avrebbe più potuto fare finta di niente. Questa risoluzione andava contro il suo carattere, era solito rimandare le cose, finché non se ne dimenticava, ignorare un problema era sempre stato il suo verbo. Finché il problema era arrivato a casa sua, nella sua tana, dove in genere si sentiva al sicuro.
Si avvicinò cauto alla scatola, brandiva un martello di ferro e un coltello dalla lama seghettata. La scatola era immobile, come se sotto non ci fosse nulla di vivo. Notò solo un piccolo rigonfiamento al centro, un dettaglio a cui non aveva fatto caso. Sollevò rapidamente la scatola con il coltello. Saltò all’indietro spaventato, come una donnicciola che avesse visto un piccolo topo. Quella cosa si era gonfiata come un gatto braccato e ora pulsava ritmicamente come se respirasse, sulla scatola c’era una sostanza vischiosa, colava spandendo un cattivo odore. Gli venne da vomitare ma non ebbe il coraggio di superare quell’ammasso pulsante per raggiungere il water, vomitò nella scatola.
Poi scappò da casa, in preda a un terrore che lo faceva tremare e vergognare di se stesso.
Si rifugiò in un diner dove più volte una cameriera di nome Lily gli versò il caffè, fissandolo fino a metterlo a disagio.
-Sta tremando, si sente bene?
Lui sollevò gli occhi. Era una discreta biondina, da lontano sembrava più che discreta, da vicino si notavano le rughe attorno alle labbra e sulla fronte. Forse aveva 42-43 anni.
-Sto bene, grazie.
-Vuole mangiare?
Il pensiero gli fece venire la nausea.
-No, mi basta un po’ di caffè.
Lily tornò sui suoi passi ma continuò di tanto in tanto a osservarlo.
Stava cercando di pensare, e quella stronza con le sue assurde preoccupazioni da crocerossina in calore, lo distraeva. Aveva già inquadrato quella femmina: separata, un figlio a carico, forse due, soffriva di solitudine, sempre alla ricerca di un maschio che gli scaldasse le coperte, qualche scopata con il capo del diner a fine turno tanto per avere un piccolo aumento, una dipendenza da alcol che presto o tardi le sarebbe stata fatale.
Più passavano gli anni e più l’umanità gli faceva schifo, osservava gli altri clienti del locale, tutti in qualche modo gli erano odiosi.
Quel ciccione osceno che stava divorando un doppio cheeseburger senza fare caso alle salse che gli colavano sul mento e gli imbrattavano la camicia hawaiana, un ex uomo che probabilmente non si trovava più nemmeno l’uccello. Ma che se ne faceva uno così dell’uccello, probabile che non scopasse da un centinaio di anni. Si augurò che lo cogliesse un infarto lì incastrato tra la sedia e il tavolo con un boccone di carne a impedirgli di respirare.
Più in là sedute, due ragazzine mezzo svestite, entrambe digitavano compulsivamente sul loro telefonino, dimentiche del mondo che cadeva a pezzi attorno a loro. In un angolo scorse una blatta enorme, arancione squillante, era grossa come un pugno e si stava rotolando nel grasso. Chissà che robaccia cucinavano là dentro. Diede una scorsa al menu e vide uova fritte con bacon, hamburger e patatine, pancakes, omelettes di tutti i tipi, frullati e caffè. Tutta spazzatura nauseabonda. Probabilmente avevano un cuoco messicano, che non si lavava nemmeno le mani dopo essere andato al cesso. Di regola mangiava solo nei diner con cucina a vista, voleva tenerli sott’occhio, mangi una merda di panino e poi ti ritrovi due giorni sul cesso a cagare sangue.
Più stava lì a ingoiare quello schifo di caffè e meno riusciva di concentrarsi sul suo problema. Quale problema? Quel bubbone schifoso, ecco il suo problema.
Ma è davvero quello il tuo problema? Certo che sì.
Riflettici bene Parker.
La testa gli scoppiava. Una vocina interiore lo stava allontanando da quel bubbone strano che si stava gonfiando nel pavimento del suo cesso.
Pensaci Parker, concentrati bene e dimmi se ad esempio il problema non è quella troia dell’assistente sociale.
Vuoi dire… quella stronza della Simmons?
Bingo.
Beh, un mese sì e uno no, mi minaccia di farmi togliere il sussidio, dice che se rifiuto un altro lavoro mi fa staccare l’ossigeno, stronza di merda.
Ma che ne sa quella stronzetta di tutti i tuoi sacrifici? Di quanto sia complicato trovare un lavoro decente oggi?
Già, così, glielo dico ogni volta, lei parla bene dietro quella scrivania con il suo poderoso culone sistemato su quella poltrona in pelle, con il suo bello stipendio statale, vive alle nostre spalle e decide vita e morte degli altri, puttana.
Ottimo, Parker, stai facendo passi avanti, ora concentrati sul tuo problema e cerca un modo di risolverlo una volta per tutte.
Proprio così, devo solo pensare a un modo, già.
Lasciò il diner non senza aver lasciato una misera mancia a Lily e un foglietto con su scritto il suo indirizzo.

Tornò a casa dopo essere passato al minimarket a prendere un paio di birre e un taco da scaldare nel microonde. Appena entrato lo vide, impossibile non vederlo del resto, il cesso era roba sua ormai, non ci avrebbe mai più messo piede. Per un attimo gli venne l’idea di andarsene a vivere con Rose al piano di sopra, ma il pensiero di vivere con Rose lo depresse.
Si sistemò sul divano a bere una birra, poi qualcosa gli disse che doveva mangiare. Dobbiamo mangiare, Parker, il nutrimento è essenziale, ricorda.
Già dobbiamo mangiare, non ce ne possiamo dimenticare, se ce lo dimentichiamo lo stomaco ce lo ricorda. Sentì un sordo brontolio, ma curiosamente non sembrava venisse dal suo stomaco.
Si scaldò il taco e se lo mangiò in fretta spazzolando ogni briciola. Eppure non era sazio. Vide una blatta nera attraversare la stanza, non era grossa come quella del diner ma poteva fare al caso suo. Gli era venuto in mente un esperimento.
Catturare la blatta non fu difficile, non c’erano molti mobili in casa sua dove nascondersi. La tenne tra le mani cercando di scacciare il senso di repulsione che provava. C’era eccitazione nell’aria, la sentiva, qualcosa fremeva in tutta la casa, vibrava nei muri. Portò la piccola preda in bagno e la lasciò cadere sul bubbone. Affascinato si mise a osservare la scena. La blatta cadde sul corpo panciuto e iniziò ad affondare lentamente. Sembrava soffrire, le zampette sbattevano freneticamente, ma il corpo del bubbone era vischioso, non c’era possibilità di scampo, la blatta affondò fino a scomparire, il bubbone si gonfiò e poi tornò alle sue normali dimensioni. Cercò di vedere all’interno ma il corpo della blatta si era dissolto, quella cosa se l’era mangiata intera, facendola sciogliere dentro di sé.
Quella notte sognò un mare di blatte, erano enormi e di vari colori, si divoravano a vicenda mentre al centro di quel mare si innalzava un’isola, era il bubbone, pulsava e inghiottiva blatte, finché dal cielo non cadde una donna e venne ingoiata intera. Nel sogno conosceva quella donna ma da sveglio non le diceva nulla, una faccia come tante.

L’assistente sociale lo chiamò. Al telefono la sua voce sembrava scocciata e disillusa, a Parker venne subito ai nervi.
Disse che cercavano un operaio edile in un cantiere non lontano da casa. Doveva andarci, se rifiutava il lavoro avrebbe perso il sussidio.
Parker si arrabbiò ma cercò di trattenersi, mentre una vocina dentro di sé pensava le peggiori cose da fare alla signora Simmons, quella troia.
Ce l’ha con te Parker, lo si sente chiaramente, quel tono da mestruata paladina dei diritti civili, sempre in prima fila quando si tratta di ben figurare, ce l’ha a morte con te perché sei un americano di altri tempi, la vecchia generazione, ci hai fatto caso che i lavori migliori li danno solo agli ispanici e ai negri, eh? Ci hai fatto caso Parker? Ce l’ha con te perché sei bianco, un americano vero, uno che viene dall’America agricola, ti considera un bifolco, spazzatura, un redneck.
Parker annuì alle parole della Simmons, le disse che avrebbe fatto il bravo (intanto con la mano mimava un pompino).
Riattaccò e poi urlò alla cornetta: fanculo troia amica dei negri!

Il cantiere effettivamente era vicino a casa, ci sarebbe arrivato comodamente a piedi senza bisogno di prendere uno di quei luridi autobus pieni di fottuti messicani. Era di fronte al diner di Lily, non c’aveva fatto caso l’altro giorno.
Perché non te ne fotteva niente di quel lavoro di merda.
Stavano costruendo un centro commerciale, almeno dalle dimensioni del cantiere. Ovunque c’erano negri e ispanici, solo il capocantiere era un bianco come lui. Gli chiese se avevano bisogno, lo guardò dall’alto in basso, poi scuotendo la testa lo mandò all’ufficio nella roulotte.
Una ragazza lo fece accomodare in una seggiolina, masticava un chevingum e non lo guardava nemmeno in faccia, gli tese un modulo e gli disse di riempirlo. Parker barrò qualche casella e poi lo firmò.
-Non è molto come paga, ma è sempre meglio di niente, disse e poi gli rise in faccia.
Aveva un bel viso ma un’espressione annoiata che la rendeva meno carina di quanto fosse in realtà, Parker ebbe la visione di uno stupro violento, dietro la roulotte, di notte, dopo qualche ceffone e un labbro spaccato la ragazza glielo avrebbe preso in bocca, oh sì che lo avrebbe fatto e si sarebbe tolta dalla faccia quell’aria di superiorità che aveva, la stronzetta.
-Il tuo lavoro te lo puoi ficcare nel culo, per quanto mi riguarda.
Disse proprio così, senza battere ciglio.
La ragazza per poco non ingoiò il chevingum dallo stupore.
-Razza di barbone, vai fuori di qui allora, e sbrigati prima che ti faccia rompere il culo da Jason.
-Chi è Jason? Scommetto che è il tuo amichetto negro che te lo pianta in quella lurida fica!
Levò le tende sbattendo la porta della roulotte mentre la ragazza lo insultava e gli faceva il dito medio.
Abbandonò l’area del cantiere facendo un gestaccio al capo che lo guardò malissimo ma se ne stette al suo posto con le mani sui fianchi.

Naturalmente la Simmons lo chiamò il giorno dopo, gli disse di passare in ufficio. Lui non si presentò, disse che stava male, era troppo depresso. L’assistente sociale era furiosa, gli disse che gli avrebbe tolto il sussidio, che stavolta non gli avrebbe salvato il culo come le altre volte.
Hai sentito? Dice che ti ha salvato il culo… vedi, pensa di essere la tua benefattrice, vuole farti sentire in debito con lei, ma onestamente noi sappiamo che non è così, vero Parker?
Certo che no, io non sono in debito con nessuno, quella troia è in debito con me, senza quelli come me porterebbe a spasso quel culone da negra che si ritrova.
Forse è il momento di fare due chiacchiere con lei, non credi? Invitala qui, dille di passare, e chiariremo tutto una volta per tutte.
Sì, è quello che farò, le dirò di spostare le sue chiappe fino a qui che sono troppo malato per uscire di casa.
Un po’ si sentiva davvero malato, si sentiva bruciare come se una febbre intensa lo divorasse, aveva brividi in tutto il corpo e vedeva sfocato a volte.
Scese le scale del residence e chiamò la Simmons dalla cabina telefonica. Il telefono che aveva in casa poteva solo ricevere, la compagnia gli aveva inibito le chiamate dopo l’ennesima bolletta non pagata. Grazie ai servizi sociali e in particolar modo alla Simmons aveva ottenuto comunque di poter usufruire del telefono per ricevere, ma questo Parker non lo avrebbe mai riconosciuto all’assistente sociale, era suo costume dimenticarsi dei favori che gli facevano, quasi fossero cose dovute, mentre si legava al dito i torti, specialmente quelli presunti.
L’assistente sociale con tono scocciato disse che sarebbe passata in mattinata l’indomani stesso, lo minacciò di farsi trovare. Lui annuì mentre faceva gestacci al telefono. Una tizia in short e reggiseno lo fissava come se fosse stato un po’ tocco. Le fece una smorfia oscena e roteò la lingua come se mimasse un pompino. La donna sembrò spaventata e disgustata insieme, se ne andò in fretta.

Passò una notte agitata, sempre incubi orrendi e viscidi, città popolate di vermi striscianti, cunicoli soffocanti e imbrattati di sostanze repellenti alla vista e al tatto, lui giaceva spesso in un letto bagnato fradicio, e strane cose pelose lo osservavano dal soffitto e poi sentiva una vocetta in falsetto che gli diceva cose crudeli a cui lui non riusciva ad opporsi, gli entravano nella testa facendolo esplodere.
Al mattino si svegliò con la bocca impastata e amarissima e un senso di sconfitta. Era depresso.
Il bubbone pulsava nel bagno, si gonfiava e sgonfiava ritmicamente come se fosse eccitato.
Non riusciva a guardarlo senza sentire un’oppressione. Lo chiuse dietro la porta, non voleva che la Simmons lo vedesse.
Sarebbe stata lì a momenti, contemplò lo squallore e la sporcizia della casa in cui marciva, decise di fare un po’ di pulizie ma alla fine si limitò a prendere le bottiglie vuote di birra e ad ammucchiarle in un angolo. Poi si vestì senza lavarsi. Attese fumando una sigaretta dietro l’altra.
La Simmons arrivò verso le undici. Bussò più volte, tanto per irritarlo.
Ci siamo Parker, eccola che arriva con tutta la sua arroganza, accoglila come si deve.
Gettò via l’ennesima sigaretta, la stanza era impregnata di fumo, aveva chiuso le tapparelle ed era quasi buio a parte qualche lama di luce.
-Buongiorno miss Simmons, si accomodi nella mia umile dimora, disse in modo affettato.
La Simmons storse il naso, indossava una giacca kaki e pantaloni di lino bianchi che le facevano il culo ancora più grosso di quel che era. Era una donna in carne, Parker non l’aveva mai trovata appetitosa nonostante il suo seno matronale, aveva un viso largo e inespressivo e occhietti scialbi dietro occhiali spessi da secchiona. Era una donna priva di gusto e femminilità, non l’avrebbe fatto alzare nemmeno a un condannato all’ergastolo.
-Non c’è bisogno di tutta questa scenata, sai bene Parker perché sono qui, non sarà una visita di cortesia.
Entrò e subito fece una smorfia di disgusto.
-Santiddio Parker, la tua casa puzza come una latrina, come diavolo ci si può ridurre così. Lo squadrò severa.
-Miss Simmons, non sia così dura con me, ultimamente ho avuto un sacco di problemi.
-Ah sì? E chi non ha problemi Parker? Tutti li abbiamo, solo che cerchiamo di gestirli al meglio, cerchiamo di darci da fare, tu non contribuisci affatto, non collabori, sei un perdigiorno e preferisci marcire in questo tugurio spendendo i soldi della comunità, comunità a cui tu non dai niente!
Ti sta dando del parassita Parker, del buono a nulla mangiapane a ufo, ma come si permette di alzare la voce in casa tua? Di venire qui con quel tono supponente?
-Non sono affari suoi miss Simmons di come gestisco la mia vita, io non mi faccio i suoi del resto. Le diede un’occhiata che significava presso a poco: ma guardati cicciona, non ti si fila nessuno dalle superiori, non ecciti nemmeno un barboncino in calore, sei la classica bruttona occhialuta che nessuno invita mai fuori a bere qualcosa pensando a una sana scopata, scommetto che sei vergine e che ti masturbi con le carote…
E’ una di quelle che sublima la mancanza del sesso con i dolci, guarda quanti brufoli su quella faccia da cazzo…
Lei sembrò accorgersi del significato di quello sguardo e parve imbarazzata, perse di colpo la sua sicurezza, sentì una sgradevole sensazione, una di quelle sensazioni che non provava dal liceo quando qualche compagna di scuola le rideva dietro, si sentì sudata e brutta, le mani umidicce e l’impressione di essere fuori posto. Ma recuperò subito balbettando qualcosa circa il motivo per cui era lì.
-Sono venuta per farti firmare un modulo, è il mio rapporto, devi solo firmarlo per presa visione e poi sarà tutto finito.
-Non c’è alcuna possibilità miss Simmons? Andiamo, io come cazzo vivo senza sussidio? Non sono in grado di lavorare…
Lurida troia occhialuta, mi sta uccidendo e lo fa come se si liberasse di uno stronzo nel cesso.
Vorrei proprio vederla spaventata Parker, come lo sei tu adesso, senza certezze, senza paga, senza prospettive, vorrei proprio vedere dove andrebbe a sbattere questa troia statale.
-E per quale motivo non sei in grado di lavorare? Sei invalido? Non mi pare, hai qualche malattia rara? A parte la pigrizia?
Aveva ritrovato la sua sicurezza, il ruolo le aveva conferito autorità, il potere di vita o di morte sulle persone le faceva superare ogni complesso di inferiorità, era come far ingoiare con un calcio in bocca tutte le molestie verbali e le umiliazioni subite da adolescente quando derelitti come Parker la canzonavano facendola diventare rossa, facendola sentire sporca, brutta e sudata.
-Vediamo di trovare un accordo, perché far precipitare tutto cristosanto!
Ora si stava scaldando, quella lurida grassona non poteva pensare di venire lì a casa sua a condannarlo a morte per inedia senza che lui reagisse, senza che lui le facesse capire quanto poteva essere solido e concreto il suo odio, il suo risentimento, il suo rancore verso quelle come lei e il mondo intero.
-Stai calmo Parker, rilassati, hai avuto mille occasioni, ti ho dato mille avvertimenti, ho chiuso non un occhio ma entrambi gli occhi su tutte le volte che hai tradito la mia fiducia, l’ho fatto perché so quanto tu sia disperato e solo, e so quanto è dura la vita là fuori, ma non puoi pretendere che gli altri facciano per te l’impossibile senza dare in cambio nulla e anzi sputando sopra ogni tentativo di venirti incontro, ora è tempo di chiudere il discorso, tu da oggi non sei più di mia competenza, non sei più nulla, firma qui e me ne vado subito.
Parker la guardò pieno di odio ma dovette piegarsi alla sconfitta, che poteva fare del resto? Picchiarla non avrebbe certo migliorato la sua situazione…
Certo Parker, ma almeno ti prenderesti una piccola soddisfazione…
Si leccò le labbra e fissò la Simmons come se volesse scoparsela. L’assistente sociale gli aveva voltato le spalle, stava frugando nella borsa alla ricerca di una penna per fargli firmare il modulo.
-Suppongo che non ci sia più niente da fare, disse finalmente arreso, ma conservando la sua rabbia in corpo, come un fuoco tenuto a bada.
-Che ne dice di berci sopra qualcosa, così per lasciarci senza rancore.
La Simmons fu sorpresa, nessuno dei suoi assistiti l’aveva mai blandita in questo modo, qualcuno, è vero, le aveva fatto dei regali per ringraziarla della sua assistenza e premura, ma nessuno si mai era spinto a voler condividere qualcosa con lei. La novità la sorprese e la titillò ma al tempo stesso la mise in guardia. Non aveva fatto caso finora alla quasi totale oscurità in cui erano immersi, sulle prime aveva pensato che fosse un espediente di Parker per non farle vedere la sporcizia in cui viveva ma ora pensava che ci fosse dell’altro.
-Perché no, sono sorpresa Parker, per un attimo ho pensato che volessi cacciarmi a pedate da casa tua, e invece mi offri da bere… davvero curioso e inaspettato da uno come te, però nella vita bisogna essere sempre pronti a cogliere ogni segno di buona volontà.
Parker andò al minifrigorifero e prese due birre, le stappò e tornò dalla Simmons che nel frattempo si era aggiustata i capelli in modo civettuolo.
Questa troia pensa che tu voglia darle l’uccello, Parker, guardala come si atteggia, per lei deve essere come una nevicata nel deserto.
Parker decise di farle credere quel che voleva credere, fu affabile e gentile, versò le birre e bevettero tutto d’un fiato ridendoci sopra.
Poi le offrì una sigaretta mentre alla Simmons le si imporporavano le guance.
-Non dovrei bere in servizio, ma una buona birra fresca con questo caldo non è male.
-Va giù per il gargarozzo che è un piacere.
-Sono contenta che l’hai presa bene Parker, in fondo ti assicuro che se ti ci metti di impegno te la puoi cavare, è per questo che ti ho aiutato, ho fatto quello che non ho fatto per altri, credimi, sfidando i miei superiori, ho perorato la tua causa in decine di uffici e tutto perché vedevo te un potenziale, così ecco… dopo l’ennesimo rifiuto mi sono sentita in qualche modo tradita, ecco, tutto quello che ho fatto per te Parker e nessuna riconoscenza, solo rabbia e rancore, perché non possiamo essere amici, Parker? Perché non ci può essere un patto basato sulla reciproca fiducia e stima?
Ci sta dando sotto la cicciona, Parker secondo me sotto è bagnata da far schifo, una parolina dolce e questa si fa aprire in due come una cozza.
-Onestamente miss Simmons sono amareggiato, solo ora mi accorgo di quanto io sia stato stronzo con lei, non ho apprezzato tutto quello che ha fatto per me e ora ne pago le conseguenze, sono colpevole, lo ammetto, ma sappia che nonostante le apparenze lei mi è sempre piaciuta miss Simmons.
La donna tossì buttando fuori il fumo dai polmoni. Fu lusingata dal complimento, non ne riceveva molti, anzi, ad essere onesti, quello era il primo in vent’anni, il primo da un maschio, un maschio che oltre tutto non le dispiaceva affatto.
-Beh Parker, sono lusingata, davvero, anche tu non sei male. Avvampò in volto come una liceale al suo primo appuntamento. Tossì di nuovo e guardò altrove per superare l’imbarazzo.
Ora non resta che metterle la lingua in bocca, Parker, farle credere che lì è al sicuro, farla sciogliere bene, e poi ci occuperemo di lei davvero, andremo fino in fondo, ci sei Parker?

Si avvicinò e la abbracciò forte, lei aveva le braccia molli lungo il corpo, non si aspettava una mossa del genere. Ricambiò l’abbraccio fraterno e provò tenerezza e piacere al tempo stesso, Parker la stringeva con forza facendola sentire piccola tra le sue braccia. Ma poi strinse un po’ meno per allontanarla un poco da lei e guardarla negli occhi, aveva gli occhiali appannati. Prima che lei potesse divincolarsi le cacciò la lingua in bocca. Lei fece un po’ di resistenza, farfugliò qualcosa e cercò di allontanarsi dalla stretta, poi però si abbandonò sconfitta e si dimostrò assetata, più assetata di quanto avesse mai sospettato. Parker la portò in camera, si spogliarono in fretta nell’oscurità e poi scoparono. La Simmons non era vergine ma era molto stretta, ci volle parecchio prima che l’uccello di Parker scivolasse dentro senza intoppi. Le venne dentro senza che lei battesse ciglio. Finito l’amplesso, tutto sommato soddisfacente per entrambi, Parker si alzò e si avvicinò allo sgabuzzino. La porta del bagno era chiusa ma era come se fosse spalancata, si sentiva un’energia dietro intensa, le vibrazioni facevano tremare tutto, si chiese come mai la Simmons seminuda nel letto non se ne accorgesse.
Ora è tua Parker, tutta tua, non ha più difese, è in tua completa balia, non devi fare altro che completare l’opera.
Aprì la porta dello sgabuzzino e prese il martello di ferro. Lo strinse forte, ne sentì il potere. Si avvicinò al letto nascondendolo dietro la schiena, la stanza puzzava di sesso. La Simmons avvolgeva le sue nudità nelle lenzuola sporche di sudore e sperma, aveva seni enormi che le ricadevano sulla pancia, senza occhiali i suoi occhi piccoli annegavano nel grasso, aveva una bocca carnosa, labbra violacee.
Le chiese se voleva fargli un pompino, lei senza rispondere si levò faticosamente in ginocchio e glielo prese in bocca, non ci sapeva fare, era maldestra ma ci metteva impegno, si vede che moriva dalla voglia da anni.
Quando gli cominciò a diventare duro nella sua bocca la colpì forte alla testa con il martello. Sentì un tonfo terribile e il sangue che schizzò fino al soffitto, la Simmons non ebbe nemmeno il tempo di urlare che il martello calò più volte nello stesso punto maciullandogli il cranio.
Parker fu scosso da un altro orgasmo, si allontanò barcollante, come ebbro di alcol, il corpo della Simmons si afflosciò ai piedi del letto.
Bravo Parker, hai fatto quel che dovevi, non si deve trascurare mai di occuparsi di se stessi. Ora abbiamo fame, Parker, dobbiamo nutrirci, ci sentiamo così deboli e stanchi, siamo affamati Parker.
Andò dal vicino ferramenta e comprò una sega di acciaio, una accetta, una mazza, sacchetti e teli di plastica, il commerciante, un vecchio col cappello a visiera e una lurida canotta su cui campeggiava la scritta “YANKEE NATION” ridacchiando gli chiese se non dovesse fare a pezzi un cadavere. Parker gli rispose in modo serio: -Come ha fatto a indovinare?
Il vecchio l’aveva fissato con attenzione poi entrambi erano scoppiati a ridere.

Tornato dal negozio cominciò a sezionare il cadavere della Simmons. A fine giornata aveva riempito cinque sacchi. Contemplò i teli di plastica imbrattati di sangue, sembravano opere di Pollock. Lui stesso era ricoperto di sangue dalla cima dei capelli ai piedi, avrebbe avuto bisogno di una doccia, ma prima dovevano nutrirsi.
Spalancò la porta del bagno. Il bubbone era in attesa, spaventoso, si gonfiava eccitato mostrando al suo interno delle forme striscianti che vorticavano, sembravano vermi grassi. Prese la testa della Simmons, la reggeva come Salomè reggeva la testa di Giovanni Battista, si avvicinò al bubbone che fiutando l’odore del sangue si gonfiò ancora di più alzandosi quasi a mezzo metro d’altezza e ostruendo in larghezza quasi tutta la porta del bagno. Sospese la testa gocciolante sopra quell’ammasso schifoso e poi la lasciò cadere. Osservò la testa sparire inghiottita da quella massa brulicante, affondò come sciogliendosi dentro di essa come aveva fatto la blatta. Sembrava espandersi e contrarsi come se stesse masticando. Si allontanò dal bubbone che crescendo lo aveva sfiorato alle caviglie. Non poteva più chiudere la porta del bagno ora. Fuggì terrorizzato.

I giorni seguenti nutrì la cosa nel bagno con il corpo della Simmons. Curiosamente lui non aveva fame, non mangiava da molto tempo e non era più uscito di casa. Il sangue gli si era appiccicato addosso come una seconda pelle. Il bubbone era cresciuto in modo spaventoso, occupava tutto il bagno, Parker usava un secchio per le sue deiezioni. La casa puzzava in modo incidibile. Eppure lui non sentiva niente, giaceva a letto quasi incosciente, come un fumatore di oppio, libero di ondeggiare nel cosmo con la sua infame coscienza.
Qualche volta mentre la sua mente vagava aveva sentito bussare, ma a distanze siderali, come se la casa fosse finita in un pozzo profondo. Forse era Rose che voleva scoparlo dentro una pizza, una pizza viva che cresceva e poi cambiava forma, denti ghignanti e molto taglienti, che maciullavano senza alcun riguardo.
Si svegliava dal torpore solo per nutrire quella cosa schifosa che cresceva in bagno, lo doveva fare, era il suo dovere. Perché dobbiamo mangiare Parker, non possiamo farne a meno, lo sai.

Alla fine non rimase nulla della Simmons, nemmeno i vestiti che il bubbone fece sparire nel suo corpo molliccio. Parker attese la polizia per giorni ma nessun poliziotto venne a bussare per chiedere notizie. In seguito riuscì a sapere che nell’agenda che avevano trovato in ufficio non era stato trovato alcun appuntamento il giorno che era scomparsa. Una collega aveva detto che l’aveva vista uscire di corsa, sarebbe dovuta rientrare entro la mattina ma non aveva più fatto ritorno e che no, non sapeva dove stava andando, non aveva lasciato nessun appunto.

Cominciò ad uscire solo di notte, per andare al minimarket aperto 24 ore su 24 a comprare birra e snacks, mangiava poco ormai, ma beveva, mentre quel bubbone cresceva in modo spaventoso, era alto un metro ormai con un diametro di un metro e mezzo, era incastrato nel bagno e stava smangiando il lavandino e il water, li aveva inglobati in sé.
Rose si era rifatta viva ma lui non le aveva aperto, stava troppo male ed era contagioso, si sarebbe fatto vivo lui.
Poi quella cosa si rifece sentire, le sue richieste erano spaventose.
Dobbiamo nutrirci Parker, siamo affamati, molto affamati.
Non posso farlo, mi spiace, non posso.
Andiamo Parker, con la Simmons in fondo non ti è dispiaciuto, sappiamo entrambi che cosa hai provato a farle schizzare il cervello da quella testolina.
Mi beccheranno, mi metteranno in gattabuia a marcire.
Sempre meglio che marcire in questa topaia, non credi? Parker, sappiamo entrambi che è l’unica soluzione, liberarci di chi ci opprime.

Le sue parole erano zucchero per la sua coscienza, pensò a quel porco del padrone, all’insolenza con cui gli parlava quando veniva a riscuotere l’affitto, 50 dollari al mese per quel buco puzzolente, sentì crescere la rabbia, un miserabile grassone pelato, che ostenta superiorità su di lui come se fosse una piattola venuta a impestare il suo immacolato castello, si fotta lui e quella stupida cicciona che aveva per moglie, tutto il giorno seduta con le sue chiappone oscene davanti al televisore a mangiare popcorn caramellati e ad aspettare la morte, che razza di parassiti senza spina dorsale.
Ottimo, Parker, davvero ottimo, stai finalmente realizzando in quale vicolo cieco ti eri cacciato in tutti questi anni, ma non è mai troppo tardi, c’è sempre una soluzione a tutto.

Aspettò che facesse notte poi prese l’accetta e scese al pianterreno dove abitava il padrone del residence, un mega appartamento con giardino e piscina sul retro. Bussò forte come faceva sempre il padrone, Cotton, quando saliva da lui per riscuotere l’affitto. Già pregustava l’incazzatura del grassone svegliato nel cuore della notte. Sentii bestemmiare e poi dei passi pesanti che venivano verso la porta. Teneva l’ascia affilata dietro la schiena, per fargli una sorpresa.
Quando lo vide dopo aver spalancato la porta rimase di stucco.
-Porca puttana Parker! Che cazzo vuoi in piena notte!!! Se è lo sfratto eccotelo servito, da domani porti il tuo culo lontano da qui e sgombri il mio appartamento da tutte le tue schifezze! A dire la verità capiti a fagiolo, proprio oggi parlavo con mia moglie della puzza insostenibile che arriva dal tuo appartamento, si sono lamentati altri condomini, condomini che pagano puntualmente, miserabile pidocchioso…
Si bloccò. Parker era davvero strano ma non ci aveva fatto caso troppo preso dalla rabbia com’era. Un po’ strano gli era sempre apparso, ma la stramberia dei tossici e alcolizzati, ingestibili e cialtroni, quella notte invece Parker non sembrava fatto o sbronzo, sembrava solo completamente folle, andato. E poi c’erano quelle macchie rosse sulla faccia e sulle mani e su ogni centimetro di pelle libero da indumenti. Come se si fosse immerso in una vasca di vernice. Ma era vernice?

Durante l’invettiva di Cotton Parker non aveva battuto ciglio, solo un sorriso enigmatico in volto, in attesa di colpire.
Disse solo una parola quando il padrone di casa tacque perplesso: -Sorpresa!
Poi l’ascia ruotò nell’aria in verticale e calò sul cranio venato di Cotton spaccandolo letteralmente in due come un’anguria. Cotton non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire o urlare, la sua faccia aveva assunto l’espressione tipica di chi non sta credendo affatto che la cosa che sta per succedere sia reale, forse l’espressione di chi sta andando verso la morte e benché abbia pochi istanti di vita si rende conto che probabilmente quella volta non si salverà il culo e l’unica frase che gli scappa potrebbe essere: non ci credo, non può essere vero. A Cotton era già capitata una situazione simile, mentre viaggiava in autostrada diretto verso Sacramento, un camion davanti a lui aveva perso il controllo e si era letteralmente rovesciato, la sua station wagon viaggiava a circa 90 miglia orarie, non c’era spazio di manovra né possibilità di rallentare prima di schiantarsi contro il cassone del camion, ebbe tutto il tempo di raccomandare l’anima a Dio quando un provvidenziale autotreno sfondò prima della sua auto il camion rovesciato e lo portò fuori strada con sé in un inferno di fuoco e rottami. Lui si ritrovò la strada sgombra e schivò una ruota che stava caracollando alla deriva, immagini di un naufragio sull’asfalto. Anche in quell’occasione aveva pensato che non era possibile, che non poteva finire così e in qualche modo aveva avuto ragione.
Ma invece quell’ascia era tangibile, e non ci sarebbe stato nessun evento provvidenziale tra lui e l’Onnipotente questa volta. L’ascia gli spazzò via ogni pensiero in pochi secondi, ogni attività cerebrale si spense come in un blackout. Cotton crollò a terra sepolto dal suo stesso sangue che misto a materia cerebrale lo inondava rendendolo ancora più grottesco conciato com’era: mutandoni e canottiera.
Non abbiamo ancora finito Parker. Occupati di sua moglie, non possiamo rischiare che faccia saltare tutti i nostri piani.

Passò oltre il corpo di Cotton, se ne sarebbe occupato più tardi, con calma. La moglie non si era accorta di nulla, aveva il sonno pesante, la sentiva ronfare quella grassa scrofa. La trovò nel suo letto, dormiva a bocca aperta sollevando il suo monumentale petto. Sally era la classica ragazza la cui avvenenza raggiungeva il picco a diciotto anni per poi prendere una china inesorabile dopo il matrimonio, anno dopo anno, chilo dopo chilo, fino a diventare la caricatura di se stessa.
Fine dei tuoi tormenti Sally, e calò l’ascia sulla sua testa. Non si accorse di nulla apparentemente, anche se i suoi occhi si spalancarono increduli. Per poco comunque, la mente della donna fu di nuovo inghiottita dalle tenebre, uno di quegli incubi cupi e oscuri da cui non ci si sveglia mai più.
Lavorò tutta la notte per smembrare quei corpi, poi portò i sacchi di sopra e li abbandonò nella sua camera da letto. Tornò di sotto e si fece una doccia, poi si preparò un sandwich nella cucina di Cotton e restò lì a dormire.
Il mattino dopo si preparò due uova fritte e un caffè. Pensò che poteva stabilirsi lì, lasciando casa sua al bubbone, certamente nessuno si sarebbe lamentato se quel grassone non fosse più passato di appartamento in appartamento a riscuotere gli affitti. Forse avrebbe potuto farlo lui al suo posto: “sorpresa, c’è un nuovo padrone che vi propone un affitto scontato in cambio della vostra gentilezza”. Sì, poteva funzionare, i condomini avrebbero chiuso un occhio su tante cose in cambio di una riduzione dell’affitto e lui avrebbe potuto finalmente vivere di rendita finché campava.
Non dimentichi qualcosa Parker?
Già, si stava dimenticando di quell’oscena presenza in casa sua, forse aveva fame, si chiese cosa avrebbe fatto quel bubbone se lui non gli avesse portato da mangiare puntualmente. Gli vennero i brividi. Non avrebbe mai più messo piede là dentro.
Dimentichi i corpi Parker… fa molto caldo, i cadaveri fanno presto a puzzare, non li hai messi in una cella frigorifera.
E’ vero, con quel caldo presto i corpi sarebbero andati in putrefazione, e la puzza si sarebbe presto avvertita in tutto lo stabile, doveva pensare a una soluzione. Solo che non era il suo stile, non era da lui preoccuparsi di qualcosa in divenire, lui sapeva solo cercare di rimediare all’irreparabile. Decise di ignorare per ora il problema e di tornarci sopra quando sarebbe stato un problema sul serio.
Dobbiamo nutrirci Parker, non possiamo farne a meno, lo sai.
Passò il resto della giornata a dare fondo alla riserva di birra di Cotton, si addormentò sul divano di fronte allo schermo in alta risoluzione. Si svegliò in piena notte dopo l’ennesimo incubo repellente, aveva sentito la voce di quella cosa e non aveva mai sentito nulla di più spaventoso. Era sudato e respirava affannosamente, si sentiva oppresso. Nel buio della camera da letto di Cotton percepì un movimento lieve, una forma era acquattata, silenziosa e cauta, attendeva ai piedi del letto. Parker era paralizzato dalla paura, non osava accendere la luce per visualizzare l’oggetto del suo terrore, così rimaneva in quel limbo angosciante. Finché una vocina interiore non lo invitò a svelare le carte.
Accendi la luce Parker, coraggio, non ti succederà niente, te lo prometto.
Riluttante accese la luce, un istante dopo gli sfuggì un gemito strozzato e i brividi di disgusto e paura lo fecero sussultare. In un angolo della stanza una massa informe e pulsante si era materializzata, era spaventosamente cresciuta in altezza e larghezza. Parker non aveva pensato all’ipotesi che potesse muoversi. Immaginò quell’ammasso alieno strisciare lungo i corridoi dell’edificio, scendere fino all’appartamento di Cotton e poi entrare… in qualche modo.
Ora non riusciva a muoversi, il bubbone ostruiva in parte l’ingresso della stanza. Puzzava in modo terribile.
Non avere paura Parker, non ti succederà niente, devi solo fare ciò che senti. Dobbiamo nutrirci Parker, abbiamo tanta tanta fame.
D’accordo, lo farò ma torna di sopra ti prego, ci nutriremo ancora, te lo prometto.
Il bubbone cominciò a strisciare fuori dalla stanza, producendo rumori stomachevoli, la sua massa disegnava un’onda mentre si muoveva. Sotto la superficie qualcosa premeva, qualcosa di ripugnante. Lo osservò finché non scomparve, lasciandosi dietro una scia appiccicosa come la bava di una gigantesca lumaca.

Aspettò che i rumori terminassero, che il bubbone fosse scomparso, poi si alzò dal letto e andò a vomitare.

I giorni seguenti nutrì il bubbone con il corpo di Cotton e della moglie. Col tempo la fame dell’essere cresceva come il suo risentimento, così anche Rose conobbe una fine orribile. Parker la invitò nell’appartamento di Cotton, le disse che Cotton era andato in vacanza e gli aveva affidato il compito di annaffiargli le piante e di amministrargli per un po’ il residence. Rose strafatta di crack ci aveva creduto, era entrata vestita come quando lavorava, con una minigonna inguinale e un ridotto top a coprire il seno, truccata da essere irriconoscibile. Pensando a come ammazzarla Parker si eccitò ed ebbe voglia di scoparla. Lo fecero nella vasca idromassaggio di Cotton. Fu un amplesso sinistramente appagante, lei si lasciò andare alla sua foga, il piacere li avvinse e li lasciò esausti e appagati. Dopo come al solito lei volle bere e fumare, lui andò nella cucina di Cotton e prese del vino frizzante e un pacchetto di costose sigarette che aveva trovato in un cassetto. Mentre fumavano e bevevano Parker ripensò a come ucciderla, gli venne duro e lei lo notò.
-Ti va un pompino?
Lui annuì, assaporò la sigaretta e il favoloso pompino di Rose, mentre veniva nella sua bocca lui le tenne la testa sott’acqua, non fece troppa fatica anche se lei si dibatteva come una trota prese all’amo, strafatta com’era fu un gioca da ragazzi, ben presto smise di lottare e galleggiò nell’acqua ribollente. Senza spargimento di sangue, né eccessiva sofferenza da parte di Rose, come si era ripromesso dentro di sé. Per questo si trovò straordinariamente magnanimo, di buon cuore. Brindò alla sua etica e alla sua nuova vita senza più parassiti a tormentarlo.
Il bubbone trovò particolarmente ghiotta Rose e spronò Parker a procedere con gli altri condomini, passò piano per piano a farli fuori, trovò particolari difficoltà solo con la coppia gay dell’interno 7b, uno dei due era un poliziotto e quando lo beccò mentre maciullava il cranio del suo amichetto tirò fuori la pistola e sparò a Parker in bocca, così almeno pensava di aver fatto, nei suoi piani il proiettile gli avrebbe devastato la testa, uscendo gli avrebbe aperto il cranio come un fiore, pezzi di cervello sarebbero andati a comporre una singolare forma sul muro alle sue spalle. Così però non accadde perché al momento dello sparo il poliziotto gay scivolò su una cosa viscida che c’era sul pavimento, il colpo passò a pochi centimetri dalla testa di Parker che ignaro continuò a massacrare il compagno.
Il poliziotto cadendo fece cadere la pistola che finì ai piedi di Parker, poi sentì un rumore furtivo alle spalle, un rumore mai sentito prima, si voltò e sbiancò: una massa informe era alle sue spalle, alta come un’onda di tsunami, lo inglobò lentamente succhiandogli prima le gambe, le braccia e poi il resto del corpo, liquefò le ossa, la pelle e la carne, il dolore doveva essere straziante, le urla del poliziotto si udirono in tutto l’isolato. Quel giorno, 17 Agosto 1987, fu ricordato come il giorno dell’urlo, the cry’s day, dagli abitanti del quartiere.

Terminati i vicini di casa Parker si domandò che cosa ancora gli avrebbe chiesto il bubbone, non tardò a capirlo, e benché riluttante accettò quel destino, consapevole che non avrebbe avuto altra scelta.
Un giorno una voce lo convocò nel suo ex appartamento, ormai Parker viveva stabilmente dai Cotton, il suo ex appartamento era il regno di quella massa informe che lui chiamava bubbone e a cui non sapeva dare altro nome. La creatura occupava tutto il soggiorno, era alta due metri e al suo interno qualcosa si muoveva dilatando le pareti bianchicce.
E’ venuto il giorno Parker, lo sai, e sai cosa devi fare.
Parker si scolò l’ultima birra e si sdraiò sul letto sporco su cui non dormiva più da tempo, mentre aspettava gli si affollarono certi ricordi che erano stati sempre sulla punta della lingua ma che erano sempre stati ricacciati in gola. Quel giorno in cui Sandra una ragazzina che gli piaceva lo prese in giro davanti a tutti perché aveva indossato una maglia alla rovescia, la sua maestra che lo prendeva in giro davanti a tutti i compagni perché non riusciva a fare un calcolo semplice semplice che, come disse lei, avrebbe saputo fare anche il suo cagnolino Toby, la maestra occhialuta tutta frivolezze per i suoi compagni più ricchi, la madre che gli diceva che era un essere inutile, e che avrebbe fatto bene ad abortire come gli aveva consigliato il suo uomo, quel ragazzino che gli aveva rubato, strappandoglielo di mano, il suo giocattolo preferito, una pistola che sparava gommini, e ridendo gli aveva detto che sua madre era una puttana, e lui aveva pianto per la pistola e perché aveva insultato sua madre, che era davvero una puttana e lo picchiava e umiliava tutti i giorni ma era pur sempre sua madre, ricordò anche l’odore del corpo della sua prima ragazza, Mandy la vacca, con cui si vergognava ad andare in giro, e lei se ne lamentava mentre ruminava nella bocca, un’ormai priva di sapore, gomma da masticare, Mandy a cui piaceva fottere in continuazione ma che non sapeva farlo bene perché era troppo stupida anche per quella cosa lì, e quel giorno che il ganzo di turno della madre gli aveva fatto notare che aveva le braccia troppo corte rispetto al busto… solo ricordi amari, non gli veniva in mente nulla di dolce, di consolante, solo cose schifose…
E’ così Parker, la vita è tutta qui, un continuo susseguirsi di sventure intervallate a tragedie, inutile affannarsi ancora, meglio darci un taglio, non ti pare…
Parker annuì, le lacrime agli occhi, puntò il soffitto mentre l’essere nasceva nell’altra stanza, una larva enorme, gonfia e ributtante squarciò il corpo del bubbone, uscì oscillando la testa orlata di denti aguzzi, cieca e oscena. L’involucro si dissolse, una marea bianca che invase l’appartamento saturandolo di un puzzo infernale. Dalla sacca uscirono anche altre cose striscianti, vermi giallastri dalla testa rossa che si dibatterono sul pavimento imbrattato, la larva gigantesca strisciò verso la camera dove giaceva Parker, scivolava su innumerevoli piccoli piedini neri che spuntavano dal suo corpo di anellide. Parker chiuse gli occhi rifiutandosi di guardare. La larva cominciò a divorarlo dai piedi, il dolore era atroce ma Parker non urlò a lungo, quando la larva finì le gambe era già morto per lo shock da un pezzo.

Del suo corpo non rimase nulla, dei suoi pensieri rimase qualcosa però, aleggiò nell’aria per un certo tempo, un’acuta osservazione: la larva è solo uno stato intermedio.

 

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