Ad agosto Milano si svuota, in città restano solo i poveri, stranieri e italiani, specie in certi quartieri dove agosto è solo il mese più caldo, l’unica tangibile differenza col resto dell’anno, un caldo umido. Appiccicoso come la bava di una zitella. Peggio del freddo che ti entra nelle ossa durante l’inverno. Gli appartamenti sembrano più piccoli, più stretti, più fetidi. Ci si accalca come al solito in letti sudati, e si mangia annoiati attorno a un tavolino sempre troppo corto.

Milano in quei giorni appartiene ai balordi, come la banda di Billy lo sfregiato che agisce nella zona di Quarto Oggiaro, dividendo il territorio con altre due bande: quella dei colombiani di Mauricio e quella dei marocchini di Abel.

Billy in realtà si chiamava Alvaro e veniva dalla Calabria. Il nonno era di Catanzaro, lui a Milano c’era nato, così come suo padre e sua madre, per cui la Calabria la odiava, e detestava suo nonno con quell’accento che gli ricordava chi era davvero, che gli ricordava che era pur sempre un terrone.

Billy suonava meglio, si era pettinato come lui del resto, Billy stava per Billy Idol ovviamente, gli era piaciuta quella smorfia cattiva che faceva nei video musicali, l’aveva adottata, per fare paura. Lo sfregio gli era stato fatto durante uno scontro con i colombiani, una coltellata che l’aveva preso di striscio ma gli aveva lasciato una cicatrice indelebile, un segno che lo marcava, che lo rendeva riconoscibile.

Si radunavano sotto un cavalcavia, avevano una baracca che usavano per nascondere la roba o andarci a scopare con le mignotte. Ma stazionavano spesso ai giardini dei palazzi, si facevano vedere dalla gente del quartiere. I bambini stavano alla larga quando vedevano la zazzera punk di Billy. Era veloce di coltello e manesco. Sempre stato così fin da piccolo, suo padre lo menava e lui per rifarsi menava i suoi fratelli.

Quel giorno d’agosto Billy e i suoi erano seduti su una panchina a fumare e raccontare storie di vita o imprese che avevano compiuto o immaginato di compiere. Billy disse che si era scopato Matilda, quella che abitava ai palazzi rossi, fumava una camel mentre parlava, gli altri erano disposti attorno e pendevano dalle sue labbra, chi seduto, chi in piedi appoggiato a un albero.

-L’ho beccata che rientrava dal cinema con la sua amica cessa, Vanessa, quella che piace al Becco.

Risero, il Becco così chiamato per il naso ricurvo tentò di negare ma gli altri lo sommersero di battute e punzonature così lasciò perdere.

-Lei mi ha guardato e poi ha fatto un cenno a Vanessa che ha capito l’antifona… due minuti dopo ci davamo dentro nel suo garage, lei appoggiata alla lavatrice e io dietro che stantuffavo.

-Beato te, ha un culo favoloso, fece Ricchetto, il più piccolo del gruppo, ossuto e spigoloso, cattivo quasi quanto Billy.

-Direi un nove meritato, ma ho visto di meglio…

-Stasera mi vuole vedere di nuovo, ma gli do buco, alle femmine bisogna subito insegnare chi ha il potere, se no finisci come quel coglione di mio padre.

Sputò per terra pensando al suo vecchio. Trent’anni che si faceva il mazzo in catena di montaggio per portare a casa uno stipendio infame mentre si faceva comandare a bacchetta da sua madre, un essere inutile. Lui avrebbe fatto altro nella vita, le donne le avrebbe tenuto sotto il tacco, e non sarebbe mai andato sotto padrone, lui voleva comandare.

-Che cazzo di caldo…

Milano era sotto una cappa di afa opprimente da giorni, non c’era verso di sfuggirne, l’ombra raffreddava solo l’umidità che ti si appiccicava addosso come una seconda pelle e non ti lasciava scampo.

-Crozza portami da bere, svelto.

Crozza era il bestione del gruppo, un napoletano tutto muscoli, rasato e fascista, il più politico tra loro, frequentava una palestra dove si ritrovavano parecchi camerati. Non era molto intelligente ma a Billy serviva perché gli aveva permesso di entrare nel livello politico, era in contatto con gente che faceva politica e che poteva strapparlo all’avvenire che era stato di suo padre. A lui fregava poco del fascismo, odiava i negri e gli stranieri in genere ma di politica capiva poco, gli interessava però il tornaconto.

Crozza ciondolò il suo corpaccione ricoperto di svastiche e croci celtiche fino alla fontana, riempì la bottiglia d’acqua e tornò mentre all’orizzonte si profilava la figura di Aziz.

Aziz viveva nei palazzi rossi, due piani sopra l’appartamento di Matilda. Era venuto dall’Iran molti anni fa portandosi dietro sua moglie. Frequentava la moschea clandestina della zona, era buon amico dell’imam che era un wahabita come lui. Di lavoro vendeva tappeti alla Ghisolfa, aveva una piccola bottega. Non faceva molti affari ma riusciva a campare.  Attraversava la città ogni mattina e ogni sera portandosi dietro la moglie, che indossava il burqa, un abito nero che la copriva interamente, lasciava scoperti solo gli occhi che però erano nascosti da una retina.  Nessuno l’aveva mai vista in faccia. Si raccontavano molte storie su di lei, si chiamava Fatima e Aziz l’aveva sposata venti anni prima in Iran. Dicevano che fosse molto bella e per questo Aziz la teneva sotto il burqa. Ma altri invece sostenevano che fosse molto brutta e che Aziz si vergognava a farla vedere. Altri ancora che Aziz non l’aveva mai vista in faccia nemmeno lui, che nemmeno in casa si toglieva quell’affare e che Aziz la scopava sollevandole la lunga gonna e appoggiandola sulla schiena inarcata. Avevano avuto tre figlie che nessuno però aveva mai visto, Fatima aveva partorito in casa, non avevano mai messo piede in una scuola, le poche volte che uscivano di casa, in compagnia di Aziz indossavano lo stesso burqa della madre. Era un singolare convoglio. Un uomo barbuto che trascinava i suoi sandali sudati, dietro tre donne in nero, completamente celate al mondo che lo seguivano come bestie da soma.

Una carovana nel deserto di Milano. Passavano dal parco dove Aziz si fermava a bere alla fontana. Era come un rito. Le sue donne non bevevano, rimanevano un po’ distaccate ad aspettare che finisse. Lui si leccava le labbra riarse e si asciugava il sudore dalla fronte. La sua barba gocciolava sul suo abito, l’acqua zampillava sui sandali andando a impastare la polvere con le dita dei piedi brunite. Lontano scorse il gruppo di Billy, radunato attorno a una panchina, vicino ai pochi alberi superstiti del parco. Non lo avevano visto, meglio così. Riprese la marcia in direzione opposta a quella della panchina.

Billy si voltò improvvisamente, come sentendo la puzza di qualche guaio. Scorse la singolare carovana guidata da quell’arabo, Aziz, quello che abitava ai palazzi rossi assieme ad altri arabi puzzolenti e barbuti come lui e alle loro donne sepolte sotto quei luridi abiti. Sputò per terra. Più dei negri odiava gli arabi. Con la loro fottuta religione che volevano soppiantare alla sua. Anche se lui in chiesa non ci metteva piede da tempo e le bestemmie sonore avevano preso il posto delle preghiere e delle litanie. Guardò le tre donne velate che lo seguivano fedeli. Un po’ lo invidiò, difficilmente una donna italiana si lasciava trattare così. Pensò alle sue sorelle, vestite come zoccole, o a sua madre che urlava in faccia a suo padre e lui muto sul piatto che masticava amaro. Sputò di nuovo, quell’arabo lo mandava in bestia. Decise di dargli una lezione.

-Lo vedete quello, tornò a guardare in faccia i suoi. A malapena scorsero l’arabo che scompariva all’orizzonte diretto al suo negozio.

-Mi pare, si chiama Asiz o Aziz, un nome del genere, fece Becco, sta ai palazzi rossi.

-Lo so chi è, guardatelo e basta.

-Embé, fece Crozza che pure in qualche modo aveva già indovinato qualcosa, gli arabi erano nella sua lista nera, se ne discuteva sempre in palestra con i camerati, ultimamente ce n’erano troppi e avanzavano troppe pretese, moschee ovunque e vestivano come se fossero ancora in uno dei loro paesi del cazzo.

-Bisogna fare qualcosa, ci vuole un gesto… politico, simbolico, chiamatelo come vi pare.

-Menarlo?

-Sì e no, fece Billy, anche certo, menarlo eccome, ma non basta…

-Gli lanciamo addosso dell’urina di maiale, mio zio mi ha detto che se fai pisciare un maiale in un posto in quel posto gli arabi non costruiscono la moschea.

Bugia aveva centrato la questione. Bugia era il panzone della banda, lo chiamavano così perché era un grosso bugiardo, mentiva su tutto, mentiva sempre anche quando non ce n’era bisogno, ci provava gusto a raccontare balle. Solo a Billy diceva la verità perché Billy non sopportava gli nascondessero le cose, così Bugia raccontava sempre due volte, una volta per Billy e un’altra volta per gli altri, e solo la prima era la verità.

-Ci sei vicino Bugia, ma io c’ho un’altra idea. Ve la dico più tardi, andiamo al baretto adesso che c’ho fame.

L’idea di Billy era molto semplice, avrebbero seguito Aziz al ritorno dal negozio, lo avrebbero preso da due lati impedendogli la via di fuga e poi a turno si sarebbero scopati la moglie e le figlie. Solo alla fine lo avrebbero menato per bene. Era un piano audace, il suo gruppo si sarebbe finalmente elevato dal piano criminale a quello politico, era uno scatto in avanti. Già si godeva i titoli dei giornali e le pacche sulle spalle alla palestra. Avrebbe fatto carriera. Mica come suo padre con quell’aria da lavoratore sfigato. Aveva dettagliato il piano ai suoi mentre mangiava un panino al salame al baretto di Antonino, un locale che usavano come base per studiare piani criminali. C’era un saletta sul retro, con un calciobalilla e un paio di cabinati, accanto al cesso. Seduti a un basso tavolino tra fumo e puzza di ammoniaca, Billy parlava, beandosi dei giorni che sarebbero venuti, accarezzando i velluti di improbabili alberghi a cinque stelle che avrebbe attraversato affiancato da puttane d’alto bordo. I suoi seguaci pendevano dalle sue labbra incapaci di vedere oltre il loro naso, non immaginavano altro che il tornaconto immediato, la paccottiglia che poteva soddisfare il bisogno al momento, non sapevano immaginare qualcosa di più, per questo sarebbero crepati lì, in quella fogna che chiamavano casa, lui no, lui non avrebbe fatto la loro fine o quella di suo padre, lui se ne sarebbe andato, lì tra quei palazzi avrebbe lasciato solo l’ombra del suo mito, un alone di leggenda teso come un lenzuolo al sole, profumato di candeggina e danaro.

Aziz chiuse il negozio quando gli ultimi raggi di sole si spegnevano dietro le case di mattone della strada. Un tramonto arancione scuro che colorava le case di rosso sfumato. Il kebab di fronte al negozio era gremito di ragazzi e ragazze, dietro il bancone c’era Mohammed che serviva le piadine, seduto accanto c’era il fratello Keral che studiava le sure del corano, gli italiani mangiavano incuranti di tutto. Il kebab piaceva molto, facevano affari d’oro mentre lui vendeva un paio di tappeti al mese, per lo più veniva gente che chiedeva un lavaggio o una riparazione. Incasso ce n’era poco ma era pur sempre guadagno onesto. Fece un cenno di saluto a Mohammed e poi si avviò con le sue donne verso casa. Si camminava più leggeri la sera, il caldo dava tregua anche se l’aria restava pur sempre calda e non c’era un alito di vento. Aziz era stanco morto, gli occhi ottenebrati dal sonno, aveva fame ma c’era il ramadan, avrebbe mangiato molto tardi. Nel pomeriggio aveva sonnecchiato approfittando degli scarsi clienti, un paio in tutta la giornata che non avevano nemmeno pagato, aveva scritto i loro nomi nella nota di credito, chissà quando avrebbero pagato…

Aveva fretta di rincasare così tagliò per il sottopassaggio. Becco, che li pedinava a distanza, pensò che la buona sorte vegliava su di loro. Il piano di Billy prevedeva di prenderli e trascinarli fino al sottopasso dove nella baracca sarebbero stati al riparo da occhi indiscreti, ed ecco che Aziz si va proprio a infilare nel sottopasso, incurante del pericolo.

Anche Billy si era accorto della scelta di Aziz e aveva stretto il pugno in segno di vittoria. Fece nascondere Crozza e Becco dietro dei cespugli di rovi e si nascose con Ricchetto e Bugia nella capanna.

Aziz imboccò il sottopasso che faceva già buio, le ore cominciavano ad accorciarsi, l’autunno benché il caldo fosse ancora opprimente era più alle porte di quanto si potesse pensare, non aveva paura. Le sue donne lo seguivano in silenzio, diligentemente in fila indiana. Sembrava che neppure respirassero. Sotto i vestiti neri si indovinavano curve procaci. Becco le guardò sfilare accanto ed ebbe un principio di erezione pregustando la visione delle loro carni bianchissime che non avevano mai visto la luce del sole.

Crozza si mosse e lui gli fu dietro, si avvicinarono silenziosi e chiusero le vie di fuga fermandosi a pochi passi.

Aziz non si era accorto di nulla e procedeva a passo lento verso la baracca in sinistra attesa. Una delle figlie si bloccò di colpo, la testa si mosse a scatti come se la ragazza stesse annusando l’aria.

La porta della baracca si spalancò e ne uscì Billy. Aveva una pistola in mano e la puntò dritta al petto di Aziz. Ricchetto e Bugia gli furono accanto armati entrambi di un bastone. L’arabo si fermò e sorrise a Billy, lentamente si girò per tentare di tornare indietro ma vide Crozza e Becco dall’altro lato. Così si rassegnò al peggio.

Billy si fece avanti.

-Questa sera imparerai una lezione, mi capisci arabo?, scandiva bene le parole perché quell’islamico barbuto capisse bene le sue intenzioni.

Aziz non sembrava spaventato, sembrava solo preoccupato, una lieve sfumatura, una differenza quasi impalpabile ma Billy l’aveva percepita e lo inquietò. Questo però lo fece incazzare e lo montò a bestia, quello che gli serviva.

-Se mi capisci abbassa la testa.

Aziz pensò che non valesse la pena ribellarsi, così chinò la testa per indicare che aveva capito. Le tre donne erano immobili, non si erano mosse di un millimetro, sembravano solo in attesa, come se fossero rassegnate oppure…

-Questa sera imparerai che lasciare il tuo paese di merda per venire qui da noi a impestare la nostra terra della tua merda coranica è stata una pessima idea.

Aziz non disse nulla, non tremava, nemmeno le sue donne tremavano, erano immobili come statue di sale. Dietro quelle retine non si vedeva nulla, come se quei volti fossero privi anche degli occhi.

Tuttavia Bugia che stava alle spalle di Billy vide qualcosa che non gli tornava, gli era parso di aver colto qualcosa in quel rettangolo scuro che avevano all’altezza degli occhi, era stata però un’impressione fugace, forse il riflesso di un faro in lontananza che si era perduto là sotto, nel buio del sottopasso…

-Toglierò quello scafandro alle tue donne, comincerò con tua moglie Aziz… a proposito, quale sarà tua moglie, la prima immagino… come cazzo fai a distinguerle quando te la porti a letto? Scopi quella che capita, immagino, pervertito di un arabo… sputò ai piedi di Aziz lambendogli i sandali impolverati. Era furioso ora, tanto più che Aziz non batteva ciglio e le donne non si erano mosse, né avevano mormorato alcunché. Forse non conoscevano la lingua, sempre chiuse in casa o nel retro del negozio.

-Non lo fare, disse Aziz in perfetto italiano.

Billy scoppiò a ridere seguito servilmente dagli altri.

-Finalmente l’arabo si ribella, roba da non credere, e io che credevo che era un senzapalle. Avanti arabo fammi vedere cosa fai per proteggere le tue donne. Il tono di Aziz però era strano e anche la sua faccia, di nuovo gli parve più preoccupato che spaventato e non sembrava sconvolto dall’idea che stuprassero sua moglie e le sue figlie, c’era qualcos’altro, ma cosa?

Billy ignorò quell’inquietudine sottile e si avvicinò alla prima donna. Non si muoveva, sembrava in attesa di qualcosa. Rassegnata? Forse davvero non capiva la lingua, magari pensava solo che li avessero fermati per chiedere un’informazione. La scrutò a lungo all’altezza degli occhi ma non vide nulla, si era aspettato di cogliere almeno il luccichio di pupille nerissime, era convinto che quella donna fosse bella, d’altronde il vestito fasciava strettamente un corpo voluttuoso, sotto l’abito nero si indovinava un seno prosperoso, la lunga gonna fasciava un culo prominente e sodo, sì doveva per forza essere una gran fica quella Fatima.

Billy cominciò a sollevare un lembo del cappuccio, Aziz urlò qualcosa in arabo, Bugia lo zittì con un calcio nel fianco che lo lasciò piegato in due, senza fiato. Guardava sconvolto Fatima e Billy che ora le toglieva il cappuccio rivelando il suo volto…

Billy e gli altri rimasero senza fiato, sotto il cappuccio c’era una donna di una bellezza sconvolgente, conturbante, labbra carnose, occhi nerissimi e sensuali, la pelle bianca e liscia, sembrava velluto. La donna non sembrava affatto impaurita, fissava Billy languida come se volesse offrirsi, aveva le labbra leggermente socchiuse, sbatteva le lunghe ciglia civettuolamente.

-Però, ma guarda che pezzo di figa ci nascondeva l’arabo, fece Billy e tirò a se la donna ficcandole la lingua in bocca.

Aziz mormorava in arabo, era in ginocchio e scuoteva la testa.

Gli altri si godevano lo spettacolo, a loro sarebbero toccate le figlie che vedendo la madre dovevano essere altrettanto fiche.

Billy ci dava dentro, il bacio era profondo e calmo, la donna rispondeva intrecciando la sua lingua con passione, come se non avesse aspettato altro per tutto quel tempo, nascosta sotto quello scafandro. Billy pensò che era un delitto contro la natura nascondere una tale delizia al mondo, e che quella donna voleva farsi solo una bella scopata con lui, poi però cominciò a sentire dolore, pensò che la donna nella passione gli avesse morso la lingua, sembrava infoiata ma poi sentì i denti aguzzi, insolitamente aguzzi e prominenti che gli maciullavano la lingua che gliela strappavano in profondità, il sangue sgorgò copioso inondandogli la gola, lo stava soffocando, cominciò a sgorgare dalla bocca e dal naso, gli altri non si erano accorti di nulla, c’era poca luce, vedevano solo le due ombre avvinghiate che ora si contorcevano, facevano commenti salaci su quanto avesse voglia quella puttana araba.

Billy non riusciva a urlare né a staccarsi da quella bocca, i denti della donna ora affondavano nel palato, gli stava mangiando la faccia dall’interno, cercava di divincolarsi ma la donna lo serrava con le braccia, era forte in modo incredibile, gli stava svuotando le guance, presto la sua faccia sarebbe stata svuotata dall’interno, la mascella si stava insinuando nella bocca di Billy e i lineamenti della donna stavano mutando, in modo orribile. Gli occhi stravolti dal dolore di Billy registrarono il cambiamento, la pelle si raggrinzì divenendo la pelle di un morto decrepito, gli occhi si infossarono e persero quel luccichio che pure avevano avuto all’inizio, un luccichio sospetto come quello di una moneta falsa, troppo tardi si rese conto dell’errore.

L’arabo continuava a scuotere la testa e a mormorare strane litanie nella sua lingua, gli altri cominciarono a sospettare che quell’abbraccio fosse qualcosa di più che impetuoso o focoso, videro colare il sangue dalla bocca di Billy e videro i suoi occhi terrorizzati. C’era qualcosa che non tornava. Bugia si avvicinò e guardò bene da vicino i due amanti…

-Ma che cazzo… divenne bianco come un lenzuolo e per poco non gli venne da vomitare.

Becco e Crozza si avvicinarono sospettosi.

-Che succede?, fece Crozza, che non smetteva di tenere d’occhio le due ragazze a cui stava succedendo qualcosa, stavano sussultando, forse cominciavano a capire cosa stava succedendo e si stavano spaventando o forse no…

Bugia sollevò il bastone e lo abbatté contro la donna che però non si staccò da Billy continuando a divorargli la bocca, ora si stava dedicando esternamente alla faccia, il povero Billy non riusciva a urlare, senza più lingua e con la gola inondata di sangue, stava morendo soffocato. Le braccia della donna lo stavano stritolando, perfino gli altri sentirono il rumore delle ossa che si spezzavano.

-Ma che cosa sei?, Crozza era a un passo, puntava la pistola contro la donna che stringeva il corpo ormai morto di Billy.

Ricchetto prese l’arabo per i capelli.

-Che sta succedendo arabo, che cos’è tua moglie?

Ma l’arabo sembrava andato, ridacchiava e si batteva la testa, parlava nella sua lingua, non si capiva niente.

Crozza sparò alla donna più di un colpo ma Fatima non se ne accorse neppure, i proiettili la attraversarono lasciandola indenne. Quando ebbe finito Billy sembrava una larva, svuotato del suo sangue e con la faccia completamente divorata, cadde come un manichino a terra, gli arti disarticolati. Crozza non ebbe tempo di fare altre mosse che Fatima o il mostro che si nascondeva nel corpo dell’araba gli saltò addosso affondandogli le lunghe zanne nel collo taurino.

Becco, Ricchetto e Bugia si stavano cagando addosso, si guardarono smarriti pensando a cosa fare. Becco pensò di darsela a gambe, arretrò tenendo d’occhio Fatima che stava divorando Crozza e poi si voltò cominciando a correre forte, in preda al panico. Aveva perso di vista le due ragazze. Una delle due gli comparve davanti, lo accolse tra le braccia, era senza cappuccio, un volto orribile e sfigurato dal tempo, lunghe zanne gialle le ornavano la bocca crudele, si abbandonò al destino , non tentò nemmeno di lottare, lasciò che le zanne si chiudessero sulla sua giugulare e gliela strappassero, sentì la vita abbandonarlo dolcemente mentre la ragazza beveva dissetando la sua sete millenaria.

Bugia fece una fine ancora più orribile, l’altra ragazza lo atterrò e gli strappò brani di carne da ogni parte del corpo, le urla del ragazzo si levarono alte nel cielo milanese, squarciando la serenità apparente della Ghisolfa, qualcuno affacciato sulle terrazze dei palazzi attorno pensò a un lupo, altri a qualche cane randagio straziato da un’auto.

L’unico a scamparla fu Ricchetto, riuscì a scappare mentre le tre donne finivano di divorare i suoi compagni, corse a perdifiato fino al parco dove stramazzò senza fiato, vide lontana un’auto della polizia, le guardie gli apparvero per la prima volta un’occasione di salvezza, i due poliziotti stavano mangiando, lo videro barcollare verso di loro, scesero dall’auto e lo raggiunsero. Ricchetto non riuscì a dire niente, era terrorizzato, bianco come un morto. Gli dissero di calmarsi.

Alla fine Ricchetto non raccontò nulla, disse che si era autosuggestionato tornando a casa al buio, così i due poliziotti lo lasciarono andare. Tornato lucido aveva riflettuto che comunque le donne erano state aggredite, ci scappava in qualunque caso un’incriminazione anche per lui, meglio tacere.

Mentre Ricchetto si allontanava i poliziotti videro Aziz seguito dalle sue donne col velo integrale, stava tornando a casa, il poliziotto più giovane scosse la testa, pensò “arabo di merda”, tornò in auto a finire il panino, l’altro più anziano fissò il culo delle tre donne e pensò che sotto quegli scafandri non dovevano essere poi così male. Un giorno o l’altro si sarebbe tolta la curiosità, con la scusa di una vecchia legge, era proprio curioso di vedere com’erano sotto, l’avrebbe fatto, già pregustava una scopata come conciliazione di un’improbabile multa. Aziz scomparve alla sua vista e lui tornò in auto. Faceva caldo e nell’aria c’era  una strana puzza, quelle inquietanti urla nella notte. Qualcosa era successo ma nessuno aveva ancora chiamato, aveva tempo per finire il panino e chiudere il suo turno del cazzo.

 

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