La morte di Edgar Allan Poe è talmente misteriosa che sembrerebbe scritta dal medesimo Poe. In effetti per alcuni, tra i quali ci sono anche io umile gestore di questo blog, la sua morte non sarebbe che l’ultimo racconto che Poe ci ha lasciato. Un arduo compito svelare la verità dietro la cortina fumogena, non ci ha lasciato alcun cuore rivelatore, non c’è nessun gatto nero che miagola nel buio a indicarci la strada verso la soluzione che forse nemmeno esiste. Probabilmente solo Auguste Dupin, il detective da lui inventato progenitore di tutti gli investigatori successivi, da Sherlock Holmes fino a Dylan Dog, passando per i vari Maigret e Poirot, potrebbe illuminarci.

I fatti

il 3 Ottobre del 1849 a Baltimora un tale di nome  Joseph Walker trovò in High Street riverso sul marciapiede e in evidente stato di confusione mentale, nonché gravi condizioni fisiche, un uomo dagli abiti sporchi e laceri.

Quest’uomo inutile a dirsi era il grande Edgar Allan Poe. Il tipografo del Baltimore Sun, il signor Walker, lo condusse all’ospedale di Baltimora, il Washington College dove morì il 7 Ottobre del 1949.

Durante quei giorni di agonia Poe si espresse sempre in modo confuso, come fosse in preda a delirium tremens, e non seppe dare alcuna spiegazione di come si fosse ridotto in simili condizioni. Le sue ultime parole sembra che furono queste:

 “Signore aiuta la mia povera anima…”

L’alcolismo

I giornali scrissero che era morto a causa di alcolismo ma non toccarono minimamente il mistero che avvolgeva il suo ritrovamento e soprattutto non si addentrarono nello spiegare il mistero della sua scomparsa.

Infatti Poe che  aveva trascorso gli ultimi mesi a Richmond per ritrovare un po’ di serenità, si era in quei giorni affrancato dal bere, a quanto pare, grazie a una locale società di temperanza. 

Per i medici però la ricaduta dopo giorni di astinenza dal bere potrebbe essere stata fatale. Le cause della morte furono attribuite al delirium tremens all’epoca. Più recente la tesi della rabbia. Un medico ha infatti spiegato che i sintomi come deliri, tremori e allucinazioni, in assenza dell’alcol sono da ascrivere alla rabbia.

Ma perché Poe indossava vestiti non suoi? Perché non indossava la giacca? 

I giorni mancanti della vita di Poe potrebbero essere stati giorni disperati, di un uomo alla deriva, distrutto dalla sete per quella bevanda che lo stava conducendo alla morte. Dimentico di tutto, di se stesso, ha vissuto come un vagabondo, giacendo in strada tra i derelitti, vestendosi come capitava, completamente smarrito, l’ombra di se stesso.

Così ritraevano Poe i giornali dell’epoca che tentavano di condannare il vizio del bere da bravi moralisti.

Ma possiamo noi accontentarci di una verità così triste e miserabile?

Può lo scrittore dannato per eccellenza aver concluso i suoi ultimi giorni come il più derelitto uomo sulla terra?

Altre ipotesi

Lo scrittore Pearl pensa che la sua morte sia dovuta a un tumore al cervello. E questo spiegherebbe il perché di quei giorni mancanti, la perdita della memoria, la follia. 

Altri ancora pensano a un rapimento alieno. Quest’ultima tesi mi sembra la più assurda. Perché poi gli alieni dopo averlo esaminato lo avrebbero rispedito sulla terra con abiti non suoi?  E perché lasciarlo morire su una panchina e non approfittare per sezionarlo?

Passeranno i secoli e il vuoto di quei giorni tra la partenza da Richmond e il ritrovamento sulla panchina di Baltimora resterà un mistero. Un mistero impenetrabile quasi quanto la sua anima tormentata. 

E se proprio questo mistero fosse la soluzione? Se Poe avesse voluto sottrarre all’odio dei suoi connazionali e all’amore dei suoi lettori futuri proprio una parte di sé? La parte più fragile e insondabile, per creare ancora una volta un’opera d’arte, il racconto mancante della sua morte. Quale scacco, a noi poveri mortali.

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