Per la rubrica “le grandi monografie della Zonamorta” oggi parliamo di Rob Zombie.

Rob Zombie, musicista rock e poi regista innovativo, è uno dei più interessanti autori del nuovo cinema horror americano.
Che Rob zombie fosse un appassionato di cinema e in particolare cinema horror si poteva già intuire dai videoclip musicali che lui stesso girava. Videoclip che evidenziano uno stile citazionista, diremmo postmoderno, stile che troveremo già nelle prime due prove registiche. La casa dei mille corpi è l’esordio folgorante di Rob Zombie, protagonisti del film sono una famiglia di psicopatici amici di un clown assassino, Capitan Spaulding, gestore di un surreale grottesco locale dove serve pollo fritto e offre attrazioni da luna park horror, è lui che indirizza le vittime, preferibilmente giovanissimi, alla casa isolata dove abita questa famiglia di pazzi.

 

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La casa dei mille corpi, Captain Spaulding

Il registro è decisamente grottesco, i dialoghi sono volutamente sopra le righe. Il cinema di Zombie riesce ad essere originale e nuovo pur rievocando il cinema horror sporco degli anni 70, quello di Hopper, Craven, Carpenter e Romero, non nasconde affatto queste influenze, le esibisce rielaborandole. Sono moltissime le citazioni dai film di culto dell’epoca: Non aprite quella porta, Le colline hanno gli occhi, L’ultima casa a sinistra, Ll tunnel dell’orrore. Ma non sono solo americane le influenze che si rinvengono in Rob Zombie, basti pensare ai nostri Bava e Fulci, quest’ultimi vengono evocati nel film più visionario e delirante, a mio avviso uno dei suoi migliori, Le streghe di Salem (The lords of Salem). Per questo stile Rob Zombie potrebbe essere definito il Tarantino dell’horror, in attesa che il maestro Quentin si dedichi in modo più maturo e serio al genere che non con A prova di morte.
Davvero difficile dire qualcosa di nuovo in assoluto quando si fa cinema o letteratura horror perché alla fine, come osserva acutamente King in Danse Macabre, l’horror gira quasi sempre attorno a tre figure che corrispondono ad archetipi, paure ancestrali radicate nel tempo: la cosa senza nome, il vampiro e il licantropo, le tre figure corrispondono a paure o conflitti che angosciano da sempre l’umanità; la cosa senza nome evoca la paura dell’ignoto, del mostruoso, dell’eccentrico;  il vampiro evoca la paura del male che entra dentro di te, il male seducente e il tabù del sesso che solo si dà in quanto inevitabile e il tabù dell’antropofagia, il male contagioso, è il seme del diavolo (gli zombie sono riconducibili al mito del vampiro); il licantropo evoca la dualità dell’uomo, ragione contro istinto bestiale, o se vogliamo dirla con Nietzsche il conflitto apollineo/dionisiaco.
Moltissime storie horror hanno in qualche modo a che fare con questi archetipi anche quando sembrano allontanarsene, La cosa di Carpenter è una rielaborazione del tema del vampiro, così come lo sono i morti viventi di Romero, che invece di essere succhia-sangue sono mangia-carne e diffondono l’epidemia con il morso esattamente come i vampiri. Gli psicopatici allora possono essere inquadrati sotto l’archetipo del licantropo, lo psicopatico uccide senza alcun freno inibitorio, essi danno luogo a vere orge di sangue, orge dionisiache senza alcun scrupolo morale, senza calcolo, senza movente.
Tornando al film l’originalità consiste nell’omaggio insistito ed evidente laddove in genere i cloni cercano di dissimulare e fingere di essere lontani dall’originale con una dose di ultraviolenza e una cura dei dialoghi che i film citati aveva decisamente meno, se la prima opera era un evidente omaggio al cinema di Hopper e in particolare a Non aprite quella porta con The devil reject però Rob Zombie gira il suo capolavoro ancora oggi insuperato, nonostante le brillanti prove del remake/reboot di Halloween e di Le streghe di Salem.
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La casa del diavolo

Il film è un sequel del primo, ritroviamo tutti i personaggi della Casa dei mille corpi compreso Captain Spaulding che qui ha un ruolo più centrale, nonostante il titolo italiano citasse nuovamente “la casa”, questo film è in realtà  on the road, vi sono tre personaggi in fuga dopo l’assedio alla casa teatro degli orrori del primo film. I due fratelli assieme a Captain Spaulding cercano di sfuggire alla cattura di un sadico sceriffo, faranno una brutta fine dopo aver seminato morte e terrore… in questo film Rob Zombie non manca di citare e omaggiare il cinema horror anni 70, basti per tutte la scena in cui Bill Moseley strappa la faccia a un malcapitato preso in ostaggio e poi la indossa come Leatherface, il mostro con la motosega di Non aprite quella porta. Lo fa anche nella scelta del cast, prendendo Ken Foree dal capolavoro di Romero The dawn of the dead e Michael Berryman, il freak vivente che non ha bisogno di trucco, direttamente da Le colline hanno gli occhi di Craven, ma a differenza del primo film qui Rob Zombie costruisce un plot più originale, una sorta di road movie western, dove i poliziotti sono un’altra faccia del male, del sadismo che agita le acque americane. Mentre guardavo il film mi è venuto da pensare a quei western anni 50 dove una banda di spietati “buoni” guidati da uno sceriffo altrettanto risoluto dava la caccia agli indiani colpevoli di massacri lungo la frontiera, un crossover dunque di generi ben miscelato e godibile. Rob Zombie vuole essere disturbante, ama il lato grottesco e l’humor nero di certo horror anni 70.
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Halloween

 Dopo questa brillante prova tutti aspettavamo Rob al varco con il remake di un capolavoro intoccabile, Halloween di Carpenter, in quegli anni altri capolavori horror degli anni 70 erano stati rifatti con risultati alterni, dopo la pessima prova del remake di Non aprite quella porta, e non poteva essere altrimenti visto che il lavoro di Hopper è difficilmente superabile, e lo schifo di L’alba dei morti viventi che nemmeno sfiora il capolavoro di Romero, e tutto sommato la buona prova di Aja nel remake di Le colline hanno gli occhi, fatale che prima o poi anche il buon Carpenter venisse toccato. Halloween la notte delle streghe è uno di quei cult con cui è arduo misurarsi. Ci sono due approcci in genere al remake, quello didascalico che si limita a rifare il film identico in tutto per tutto migliorandone il comparto tecnico e aggiornando il cast e in genere attenuando l’effetto sporco dell’originale, vedi lo Psyco di Gus Van Sant, o quello che si stacca dal plot originale scrivendone uno che riprenda quei personaggi e l’ambientazione oltre che l’idea di fondo per creare un nuovo intreccio (reboot). Rob zombie ha scelto un approccio nuovo, ha deciso di raccontare quel che in Halloween era appena abbozzato o sottinteso, ha deciso di raccontare l’ellissi nel racconto, l’omissione, e cioè quel che ha preceduto l’orrendo delitto del piccolo Michael, ci ha fatto dare uno sguardo da vicino alla sua famiglia e alla sua raggelante infanzia. Il film di Carpenter iniziava con Michael che uccideva la sorella maggiore, dopo di ché vi era un salto di 20 anni, fino alla fuga dal Manicomio criminale, Zombie ci racconta i 20 anni che Michael trascorre nel manicomio e racconta la sanguinosa fuga dal manicomio senza risparmiarci ultraviolenza e gore. Il Michael di Zombie è un gigante inarrestabile, che usa la forza fisica per fare male oltre alle lame e altre armi di fortuna. Carpenter puntava sulla tensione, sull’assenza di Michael più che sulla presenza per incutere paura, Zombie invece punta sulla violenza nuda e cruda già sperimentata nei suoi lavori precedenti.
In Halloween II Zombie continua nel suo progetto di rivisitazione di una saga, il suo più che un remake assomiglia a un reboot vero e proprio, la storia nei personaggi, nella trama e nelle ambientazioni è molto simile ma i personaggi sono approfonditi nelle psicologie, appaiono più tormentati, Carpenter nascondeva, filtrava, lasciava allo spettatore ricostruire il non detto, il fascino delle pellicole di Carpenter era proprio in questa esplosione di follia che non aveva spiegazione, in questo catapultarci brutalmente nell’azione come se ne fossimo coinvolti, Zombie invece punta su un altro registro, non potendo e volendo imitare pallidamente Carpenter, non avrebbe avuto nemmeno senso.
Ecco un modo di omaggiare dei grandi film senza sputtanarli, direzione contraria a quello che fece Snyder con il film di Romero, ma stiamo parlando di due registi di livello completamente differente.
Dopo una parentesi cartoon che sorvolo Zombie torna alla grande con The lords of Salem, il film più visivamente maturo.
the lords of salem rob zombie

Le streghe di Salem

La trama ancora una volta è semplice:  Heidi Laroque, DJ di una radio di Salem, riceve un pacco contenente un disco del fantomatico gruppo I signori di Salem che alla fine della settimana si esibiranno  in un concerto tanto esclusivo quanto misterioso, si trova così coinvolta dalla congrega di streghe che segretamente ancora vive a Salem per concepire e mettere al mondo il figlio del Diavolo; la DJ è la discendente del reverendo Hawthorne che sterminò nel seicento la congrega di streghe comandate dalla strega Margareth Morgan I Signori di Salem per l’appunto, che in punto di morte maledì la discendenza del reverendo condannandola a mettere al mondo l’anticristo. Soprattutto nel finale il film raggiunge livelli di grottesco e di visionarietà paragonabili a Fulci e Lynch.
Le citazioni sono tantissime, del resto Zombie come Tarantino è un postmoderno che rielabora una cultura alta e bassa per distruggere il genere, farlo deragliare come accadeva più o meno consapevolmente con Fulci che era un genio ed era coltissimo ma aveva poi sprecato gli anni giovanili in generi minori per approdare più tardi ai suoi capolavori. Naturalmente tanta parte hanno i film satanisti degli anni 70: L’Esorcista, Rosemary’s Baby, Suspiria.
Il film è stato massacrato da critica e pubblico, eppure è un film cupo, livido nei toni, con un buon ritmo, una fotografia eccezionale, una messinscena accurata senza sbavature pur presentando un comparto di immagini talvolta portato all’eccesso, un film equilibrato che procede lentamente verso l’abisso o apoteosi finale, un film talvolta disturbante che metaforizza anche la ricaduta nella droga della protagonista, i personaggi sono complessi e ben scritti, gli ambienti sinistri senza essere ridondanti, la luce è particolarmente azzeccata, una luce fredda, che rende la pellicola intrisa di un pessimismo cupo che la eleva al di sopra di molta produzione horror americana, sembra di vedere un film horror europeo, nel senso migliore del termine, soprattutto Francia e Spagna ci hanno abituati bene nel terzo millennio con horror di qualità eccezionale. Rob Zombie è uno dei pochi registi horror americani capaci di reggere il passo al cinema horror europeo degli ultimi anni, senza risparmiarci sangue, immagini disturbanti e violenza, e senza ammonirci o rassicurarsi con tutori dell’ordine “buoni”. Nei film di Rob Zombie il buono è solo un cattivo che sta col potere di turno.
Vi lascio con una lista di DVD che potrete acquistare su Amazon in modo da vedere al meglio i film che ho citato.

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